«Stiamo rovesciando la Storia, serve un elettroshok»: l'intervista a Federico Rampini, sul palco a Verona - L'Arena 21 settembre 2022
Vecchi totem e nuovi tabù. È questo il titolo che Federico Rampini ha scelto per la serata che lo vede ospite del Festival della Bellezza, oggi, mercoledì 21, alle 21.15 al Teatro Romano. Il giornalista e saggista, residente negli Stati Uniti da oltre vent’anni, racconterà le questioni affrontate nel suo ultimo libro Suicidio occidentale. Perché è sbagliato processare la nostra storia e cancellare i nostri valori (Mondadori, 2022).
Rampini, cosa sono i vecchi totem di cui ci parlerà?
I vecchi totem sono il rigurgito di un antiamericanismo che è stato un dogma condiviso da tante tribù ideologiche della storia italiana, dagli ex fascisti agli ex comunisti, fino a una fetta di mondo cattolico. L’America, e quindi anche l’occidente, sono stati visti come il male supremo. E questa è la cultura che è diventata dominante perfino in tante università americane: descrivere l’America come l’impero del male è diventato una specie di nuovo dogmatismo.
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di Federico Rampini
Se un attacco nel cuore dell’Europa ci ha colto impreparati, è perché eravamo impegnati nella nostra autodistruzione. Il disarmo strategico dell’Occidente era stato preceduto per anni da un disarmo culturale. L’ideologia dominante, quella che le élite diffondono nelle università, nei media, nella cultura di massa e nello spettacolo, ci impone di demolire ogni autostima, colpevolizzarci, flagellarci. Secondo questa dittatura ideologica non abbiamo più valori da proporre al mondo e alle nuove generazioni, abbiamo solo crimini da espiare. Questo è il suicidio occidentale. L’aggressione di Putin all’Ucraina, spalleggiato da Xi Jinping, è anche la conseguenza di questo: gli autocrati delle nuove potenze imperiali sanno che ci sabotiamo da soli. Sta già accadendo in America, culla di un esperimento estremo.
Vai al cinema e trovi la solita storia a sfondo lesbico, con un richiamo storico al Male Assoluto e un’occhiatina complice ai migranti, meglio se neri, più una tiratina di erbe ecocompatibili. Peggio ti senti se vai a teatro, dove adattano a quel presente corretto e a quel presepe ogm anche autori antichi, drammi e opere del passato, travestiti e parlanti con le solite menate di oggi. Poi ascolti la musica somministrata dai media e vedi e senti gruppi di musicanti ossessivi, di quelli che rompono i timpani e non solo, coi loro rumori e le loro grida bestiali di dannati in preda ad allucinazioni, osannati ogni giorno dai media, che lanciano il solito messaggio sui diritti gay e dintorni. Che grandi, si preoccupano dell’Umanità e dei Diritti… Vai in libreria e trovi un nugolo di libri dei più vari autori che dicono tutti la stessa cosa: basta con le identità, accogliamo il diverso, ripudiamo tutto quel che sa di tradizioni, radici, civiltà, famiglie, salviamo il pianeta in pericolo, attenti al nazi che rialza la testa, apriamoci al mondo entrando però tutti dalla stessa parte, percorrendo tutti lo stesso cammino di progresso ed emancipazione. Ridicolo questo elogio del diverso nella ripetizione dell’Uguale. Ti rifugi in chiesa e senti il Principale ripetere le password dell’epoca: accoglienza, poi la solita invettiva contro i muri e i confini, lo stesso pacchetto di precetti e condanne. La Chiesa smette di essere la Casa del Signore e diventa un gommone per trasportare migranti nell’odiato occidente.
Controindicazioni delle cultura woke e della fluidità di genere tanto cara dal ddl Zan. Nel Regno Unito il ministro dell’Interno Priti Patel s’è trovata di fronte ad un dilemma di difficile soluzione: appoggiare le derive politicamente corrette o dare un taglio agli incredibili paradossi del sesso percepito?
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