Il libro su Sergio Ramelli esposto a testa in giù
Il libro su Sergio Ramelli esposto a testa in giù

di Mario Adinolfi 
Il 13 marzo 1975 lo studente diciottenne Sergio Ramelli, referente del Fronte della Gioventù all’istituto tecnico Ettore Molinari di Milano, rientra di sera a casa dopo aver parcheggiato il suo motorino. Si guarda attorno, sa che deve avere paura. In un tema in classe ha scritto parole contro le Brigate Rosse e in particolare contro l’assenza di reazioni istituzionali al primo atto omicidiario compiuto dal gruppo terrorista di sinistra: l’uccisione avvenuta nel giugno precedente di due militanti missini in una sezione del partito di Padova. Quel suo tema in classe è stato affisso nella bacheca scolastica indicando nell’autore un fascista da colpire perché “uccidere un fascista non è un reato”. 

Il papà capisce che il figlio rischia la vita, viene aggredito pure l’altro figlio e mentre va a firmare i documenti per cambiare scuola persino i docenti che lo scortano negli uffici del preside sono insultati. Delle ombre quella sera concretizzano le paure di Sergio. Un commando di Avanguardia Operaia lo circonda mentre dal motorino si avvia verso casa, sono armati di chiavi inglesi Hazet da quattro chili l’una con cui gli sfondano il cranio e scappano. Ramelli morirà dopo 48 giorni di coma alternati a momenti di lucidità. Quando il missino  Staiti di Cuddia annuncia in consiglio comunale la morte del ragazzo, dai banchi della sinistra si esulta e si applaude. 
Il 6 luglio 1975 Sergio Ramelli avrebbe compiuto 19 anni. Il papà morì di crepacuore, distrutto da un dolore che assai simile portò il padre del diciottenne Francesco Ciavatta, ucciso nella strage alla sezione missina di Acca Larentia del 1978, a lanciarsi nel vuoto a Roma da una finestra in piazza Tuscolo e la finestra evoca l’immagine agghiacciante di un’altra azione stragista di sinistra contro i missini, quella in cui nel 1973 da Potere Operaio furono arsi vivi in casa i fratelli Virgilio e Stefano Mattei di 22 e 10 anni, figli del segretario di sezione Mario Mattei. In Potere Operaio militarono nomi noti da Paolo Mieli a Massimo Cacciari, da Lanfranco Pace a Ritanna Armeni, da Pancho Pardi a Michele Boldrin oltre al gotha degli stragisti di via Fani e degli uccisori di Aldo Moro: tra tutti, Valerio Morucci e Adriana Faranda. 
Mandanti ed esecutori dell’omicidio di Sergio Ramelli furono individuati e processati, tra loro un consigliere comunale del Pci e uno di Democrazia Proletaria. Nel primo grado di giudizio incredibilmente vennero ritenuti colpevoli solo di omicidio preterintenzionale, con pena massima a 15 anni. Nel secondo grado venne riconosciuta l’ovvia volontarietà dell’omicidio ma, caso unico nella storia giuridica del nostro Paese, le pene furono tutte ridotte a un massimo di 10 anni, poi tra libertà condizionale e permessi premio praticamente non furono scontate. Nel commando che uccise Ramelli vi erano molti studenti di medicina, fecero tutti brillanti carriere. L’avvocato della famiglia Ramelli fu un giovane Ignazio La Russa. 
Quando in Italia la sinistra reitera “l’antifascismo” come valore fondante, pensa a quell’antifascismo lì, violento e assassino, ai conti regolati a sprangate e omicidi negli Anni Settanta e Ottanta contro i “nemici di classe”, democristiani e missini su tutti. Io non sono mai stato fascista e anche nella bella politica giovanile di molti decenni fa li ho aspramente combattuti, ma non mi meraviglio che un La Russa e molti come lui oggi fatichino a genuflettersi a quegli antifascisti lì. 
Per quell’antifascismo lì, ben presente nella società politica contemporanea basta ascoltare le farneticazioni di un Christian Raimo, uccidere un fascista non è un reato.

A Sergio Ramelli è stato sfondato il cranio perché aveva scritto un tema in classe, un tema in classe contro due omicidi perpetrati dalle Brigate Rosse. Nel clima brutale di quel tempo infame persino su Avvenire quel ragazzino di 18 anni venne definito un “estremista picchiatore”, per giustificarne l’assassinio.

Lo scrittore Giuseppe Culicchia ha appena fatto uscire un suo bel libro, edito da Mondadori, dedicato a questa vicenda e il titolo è immediatamente evocativo: Uccidere un fascista. La copertina ha una bella foto del giovane volto di Sergio Ramelli, scattata poco tempo prima dell’aggressione. 

Alla libreria Feltrinelli di stazione Centrale a Milano ieri la copertina era esposta a testa in giù.

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