Dalla stampa alla scuola, dall’arte al mondo delle imprese, un pensiero che si sta imponendo con la sua escrescenza, la cancel culture
Come onorare il riconoscimento e le cause legittime delle minoranze senza screditare le cause, altrettanto legittime, della maggioranza? Grande punto di domanda, che colpisce tutta la società su temi centrali come il genere, l’origine etnica o sociale, il ruolo delle donne, le pratiche di consumo, la storia o la questione ambientale. E via discorrendo. Questioni immense ma che ricevono risposte disastrose, alla luce di un dibattito pubblico e di un trattamento politico indegni, in un clima di antagonismi e di odio. La conseguenza è il raggiungimento di risultati opposti all’obiettivo auspicato: la divisione si impone sulla concordia, compromettendo la realizzazione di progressi concreti a beneficio delle minoranze stesse.
Non si tratta di contestare la legittimità delle rivendicazioni delle minoranze, né alcuni mezzi utilizzati per promuoverle. Nella storia recente, quale sarebbe stata la sorte dei neri, degli omosessuali, delle persone con disabilità, e che ne sarebbe dell’indipendenza delle donne senza la rabbia, le proteste e talvolta persino le violenze che sono state espresse? Se François Mitterrand e Robert Badinter non si fossero battuti, crediamo veramente che l’abrogazione della pena di morte, all’epoca minoritaria nell’opinione pubblica, sarebbe passata? Ma “ieri” non è “oggi”. L’oggetto delle cause delle minoranze aveva una portata universale, migliorava le coscienze e l’umanità, e l’interesse particolare che perseguivano, più tardi, avrebbe avuto delle ripercussioni positive sull’interesse generale. Alla fine, si percepiva che un giorno queste cause avrebbero riunito le persone, a beneficio di una civiltà in evoluzione. E’ il caso, oggi, della questione ambientale.
Ma molte altre cause minoritarie e i metodi utilizzati per promuoverle non emanano lo stesso profumo. Perché le cause sono incomprensibili o perché i metodi veicolano una radicalità, un’ossessione vittimistica o argomenti menzogneri che discreditano i loro artefici. Quelli che ritengono di subire una persecuzione xenofoba da parte delle forze di polizia sono credibili quando urlano che il razzismo è strutturale all’interno dell’istituzione? L’affermazione secondo cui nei campus americani imperversa una “cultura sistemica dello stupro” non è ammissibile, nonostante l’esistenza di stupri nei campus americani. Una realtà parziale non può essere strumentalizzata a favore di una generalizzazione. Il semplicismo non può imporsi sulla complessità. Abbattere le statue o sbattezzare le strade col pretesto che le figure rappresentate incarnano un passato coloniale significa svuotare la storia del suo contesto, significa voler riscrivere la storia in funzione delle idee e dei rapporti di forza del presente, significa anche voler cancellare la storia (…).
Il mondo del sapere e dell’istruzione non è da meno. Non si contano più gli episodi di conflitti tra insegnanti e gruppuscoli identitari. Nel 2019, una conferenza di Sylviane Agacinski all’università di Bordeaux è stata annullata sotto la pressione di associazioni studentesche che giudicavano la filosofa, ostile alla Pma (Procreazione medicalmente assistita), un’“omofoba”. In Gran Bretagna, in alcuni campus universitari, il clima è diventato talmente elettrico che le dimissioni si accumulano. Quella recente della filosofa Kathleen Stock, dell’Università del Sussex, ha creato un elettrochoc oltremanica. Il suo crimine? Considerare il sesso come una realtà biologica e inalienabile, scatenando l’ira, divenuta insopportabile, delle organizzazioni transgender. Dietro questa ideologia del discredito e dell’anatema, nell’humus della quale germogliano l’inquietante tentazione dell’autocensura e lo spettro di un agghiacciante puritanesimo, non solo la libertà di pensare e di esprimersi è minacciata, non solo il dovere fondamentale di ascoltare e di rispettare le opinioni divergenti è calpestato, ma anche il funzionamento stesso della democrazia si ritrova indebolito (…).
Uno degli effetti deleteri della cultura woke è quello di omogeneizzare, di standardizzare e persino di “purificare” i gruppi sociali, di imprigionare le minoranze nella loro nicchia e simultaneamente di escludere gli estranei da quest’ultima. In altri termini dividere la società in arcipelaghi e in comunità, piuttosto che abbattere le muraglie che la frammentano e creano ghetti. O come si impongono la negazione della diversità, l’impossibilità del vivere assieme, il rifiuto dell’universalismo ereditato dai Lumi. Questa comunitarizzazione della collettività disonora il principio di comunità.