Nel nuovo libro di Luca Simonetti tutti gli errori e i vuoti teorici di chi sogna un'economia che ci renda liberi attraverso la povertà. Alla fine è un mantra che ci viene propinato da qualche pensatore della destra (che ha nel Dna una tendenza passatista) e da una pletora sempre più ampia di pensatori di sinistra (che in questo caso rinunciano a ogni mito di progresso).
È l'idea di una decrescita felice, di una «salutare» rinuncia al sogno del pil col segno positivo, al desiderio di essere capaci di produrre domani qualcosa di meglio di ciò che produciamo oggi, di creare cose belle ma «innaturali». I nomi degli intellettuali che si sono fatti alfieri di questo ritorno alla natura, di un downshifting controllato, sono ormai arcinoti: il francese Serge Latouche, l'indiana Vandana Shiva, l'italiano Maurizio Pallante, il greco Giorgos Kallis.
E attorno a questi teorici un vasto movimento di fan del rallentamento che ha contagiato testate giornalistiche, come Repubblica , gastronomi alla Carlo Petrini, registi alla Ermanno Olmi... Memorabile sul tema proprio una loro doppia intervista sulle pagine del quotidiano nel 2009: «Il consumismo ha fallito e va confutato su tutti i fronti. La velocità va combattuta con la lentezza» (Petrini). «Libertà di consumare, sprecare, avvelenare. Stesse in me, fonderei un partito della povertà, intesa come riduzione dei consumi» (Olmi).
Ma quanto rigore teoretico c'è in queste elaborazioni che si discostano dalla visione liberale e capitalistica ma anche dalle dottrine marxiste? Poco, a leggere Contro la decrescita. Perché rallentare non è la soluzione , il saggio di Luca Simonetti che arriva in libreria questa settimana (Longanesi, pagg. 260, euro 16).
Simonetti prende in esame quella che lui chiama la galassia dei «decrescenti» e mette in luce molte delle loro aporie. Uno dei nodi su cui insiste di più a esempio è quello del ricorso alla continua contrapposizione fra natura e tecnologia, caro a teorici come Vandana Shiva.
La natura è vista come una misteriosa entità benigna a cui l'uomo contemporaneo, stregato dal mercato, continua solo a sottrarre. Basterebbe decrescere un po' e consentire alla natura di donarci spontaneamente, come succedeva una volta.
Ma a ben guardare quell'«una volta» non esiste. Da sempre trasformare le risorse naturali in beni fruibili ha richiesto sforzo, organizzazione e mercato. E, come spiega Simonetti, l'uomo stesso con le sue industrie è anch'esso un prodotto della natura. «L'uomo fa integralmente parte della natura, tutte le sue azioni sono eseguite in conformità con essa...
Perché l'uomo non può non seguirla: tutte le sue azioni sono compiute a causa di, o mediante leggi fisiche... sicché un lavandino, un aeroplano o la Nona di Beethoven sono altrettanto naturali di una mareggiata o della grandine». A meno che non si intenda con natura il corso spontaneo degli eventi a cui ci si dovrebbe adattare, o peggio una specie di dea.
Tolto il fatto che questa sarebbe un'abdicazione alle nostre capacità razionali, sarebbe anche accettare l'inaccettabile perché, come già spiegava John Stuart Mill, «la vera verità è che quasi tutte le cose per cui gli uomini vengono impiccati e imprigionati quando le commettono l'uno verso l'altro, sono azioni quotidiane della natura». E questo è solo un esempio. Simonetti mette in luce anche quanto sia labile la distinzione cara ai «decrescenti» tra merci e beni. O quanto sia soggettiva la distinzione che va tanto di moda fra bisogni veri e bisogni falsi. Perché «quando date un'occhiata alla lista dei beni di consumo che (secondo il critico) non hanno una reale utilità, ciò che trovate invariabilmente è una lista di beni di consumo che gli intellettuali di mezza età ritengono di nessuna utilità». Insomma sono sempre i consumi degli altri, quelli non necessari.
Per non parlare di tutti i pericoli sottesi all'elogio dell'agricoltura di sussistenza che gia la Fao nel 1959 descriveva come inefficaci: «I metodi primitivi di coltura non si traducono soltanto in una debole produttività, ma molto spesso anche in un deterioramento dei terreni e delle altre risorse naturali». Viene da chiedersi allora come mai la moda della decrescita abbia attecchito così bene. Simonetti lo spiega così: «Alla fine dietro il ragionamento economico che è labile si cela una questione estetica. In una società ricca è facile vedere il lato che non ci piace della modernità e sognare di fare ritorno ad un prima assolutamente astorico. Il rischio di questo atteggiamento è però quello di partire da problemi reali per proporre soluzioni irreali che mettono in discussione la modernità in sé».
Fa anche un po' specie che a essere vittima di questo fenomeno sia soprattutto la sinistra che a parole è progressista. Simonetti lo spiega così: «La destra su questi temi ha trovato nel suo Dna degli anticorpi. La sinistra ha perso negli ultimi quarant'anni progettualità e concretezza. Quella concretezza materialista che era alla base del marxismo. E così sono diventati vittime di certe utopie».
http://www.ilgiornale.it/news/cultura/decrescita-non-felice-compenso-confusa-1065016.html
Il Giornale - Matteo Sacchi - 5/11/2014