Ai laici di sinistra, ai teorici dell’integrazione che annulla le identità e le sensibilità religiose dell’Occidente, a chi crede che eguaglianza sia annullamento e omologazione delle persone, a quelli a cui non andava bene né l’albero nè il presepe, adesso sta sulle scatole anche il nome del Natale: va depurato, rinominato, cambiato, svuotato dai significati cristiani. Potrebbe chiamarsi “festa dell’inverno” o “festa dell’eguaglianza etnica”, a quanto pare, ma restiamo in attesa di altre geniali intuizioni degli intellettuali progressisti che pensano alla rimozione dei simboli cristiani anche dallo stesso Crocifisso. Per adesso, nel nome del Piano per l’uguaglianza etnica e razziale, l’Istituto universitario europeo che ha sede a Fiesole, in Toscana, annuncia che vuol rinominare il Natale, mandando in brodo di giuggiole la sinistra e scatenando la destra. I magnifici rettori dell’Università vogliono comunque festeggiare il Natale (bontà loro) ma attribuendogli un nome che non offenda le persone di un’altra religione. E l’offesa ai cattolici?
Cambiare il nome al Natale in nome dell’eguaglianza etnica
La “trovata”, che sta suscitando polemiche fortissime anche in ambienti cattolici, anche perché i primi a dare la notizia sono stati i giornalisti dell’agenzia dei vescovi Sir, sul proprio sito, va attribuita a un professore belga da tempo di stanza in Italia, Renaud Dehousse, laureato in giurisprudenza all’Università di Liegi (Belgio) prima di approdare all’Iue: a Firenze lo si è visto spesso in compagnia del sindaco Nardella ma da articoli e foto anche la sua vicinanza al bolognese Romano Prodi sembra molto evidente. Qualche anno fa, pensate, da intellettuale di sinistra prevedeva grandi successi politici per il presidente Hollande, “uomo pragmatico e misurato, che saprà promuovere una direzione di marcia riformatrice e concreta, già indicata nel Manifesto di Parigi”, diceva in una intervista purtroppo, per la Francia e per la sinistra, rivelatasi poco premonitrice. Anche nelle sue relazioni nel Consiglio regionale della “rossa” Toscana il professore “europeista” e anti-sovranista, non ha mai nascosto le sue idee progressiste, ma mai si poteva immaginare che arrivasse a formulare una proposta così poco rispettosa della sensibilità religiosa della stragrande maggioranza degli italiani.
La dura reazione di Fratelli d’Italia
Da destra, ovviamente, le prime reazioni sono indignate: “È sconcertante che un istituto accademico decida di rimuovere il riferimento cristiano dalla celebrazione del Natale, considerando che questa istituzione ha la propria sede nella ‘badia fiesolana’, un luogo dove nel passato sorgeva l’oratorio dedicato ai santi Pietro e Romolo, patrono di Fiesole”, attacca la consigliera metropolitana di Fratelli d’Italia, Alessandra Gallego.
Sulla stessa linea il presidente di Fratelli d’Italia nel Consiglio regionale toscano. Francesco Torselli. “Qualora il professor Dehousse fosse stato serio nella sua proposta di abolire il Natale, lo invitiamo a ripensarci, magari facendo un giro per i meravigliosi luoghi che ospitano l’Università che oggi è chiamato a dirigere: dalle colline di Fiesole, scendendo giù, fino a Firenze. Scoprirebbe così che tutta la meraviglia che lo circonda è intrisa di riferimenti profondi a quel cristianesimo che – si creda o meno – va da duemila anni a braccetto con la storia, la cultura, l’arte e l’architettura europee”.
Da Roma, invece, tuonano il deputato e capogruppo della commissione Cultura, Scienza e Istruzione di Fratelli d’Italia Alessandro Amorese e Paolo Marcheschi, capogruppo dell’omologa commissione in Senato. “Cambiare nome al Natale somiglia, davvero troppo, al titolo di un romanzo grottesco. Se fosse confermata questa decisione, presa all’Istituto Universitario Europeo di Fiesole, per le notizie che apprendiamo, si tratterebbe dell’ennesima boutade irrispettosa della cristianità che invece caratterizza una realtà di accoglienza come Eui. Questo luogo di studio e culture che convivono da sempre, è una prestigiosa istituzione che vanta un ‘Piano per l’uguaglianza etnica e razziale’, obblighi che inducono all’inclusività, sia nel linguaggio che nel calendario delle feste religiose”.