Li chiamano sanatori, erano la via socialista alla cura del corpo. Sono tuttora molto frequentati - di Micol Flammini - Il Foglio
Sorgono come scheletri tra le montagne, di una bruttezza grigia e romantica. Facciate bianche che ormai volgono al giallognolo, finestre piccole e forme scarne e ossute. Dentro questi mostri architettonici, emaciati e malinconici, inglobati dalle montagne del Caucaso o spiaggiati sulle coste del mar Nero, si nascondono i sanatori. Terme, ma non proprio. Centri ospedalieri, ma non esattamente. Sono pezzi di storia sovietica, nobilitati dalla letteratura e ancora molto frequentati.
Un libro, “ Holidays in Soviet Sanatoriums”, edito dalla casa editrice Fuel, ne ritrae le atmosfere e rivela come, all’apparenza, nulla sia cambiato da quando, nei primi anni venti, il partito comunista stabilì che dovessero diventare i luoghi di vacanza ufficiali dei lavoratori sovietici. Lo stato provvedeva a finanziare le cure e, dall’Armenia all’Uzbekistan, dal Kirghizistan all’Ucraina, tutto il territorio dell’Urss si riempì di queste spa ante litteram, che rappresentavano un’avanguardia dal punto di vista medico. “Holidays in Soviet Sanatoriums” raccoglie una serie di fotografie che catturano ambientazioni surreali in cui russi, ucraini, chirghisi, armeni, tutti cittadini dell’ex Unione sovietica continuano a passare almeno una settimana all’anno.
Ognuno con la sua storia e le sue leggende, i sanatori dovevano rappresentare i valori vacanzieri sovietici ed essere l’incarnazione del turizm: parola apparentemente traducibile come turismo e che invece indicava le attività per rigenerare il lavoratore. Esercizio fisico e cura del corpo, contrapposte all’ozio occidentale. Il turizm, il riposo ai tempi dell’Urss, non era un momento di libertà individuale, ma uno strumento ideologico del partito, un caposaldo per la realizzazione della politica statale e della stabilità del regime. Così, per meglio controllare il tempo libero e la vacanza, nacquero i sanatori. Costruzioni grandi e complesse, dietro alle quali c’era un preciso pensiero architettonico, il concetto eterotopico di Foucault. L’architettura concepita come strumento per il cambiamento delle condizioni fisiche e di conseguenza psichiche degli individui. La struttura dei sanatori doveva quindi essere in grado di controllare, influenzare e plasmare la percezione della realtà, scandiva il tempo e modellava lo spazio di chi vi soggiornava. Il ritmo quotidiano era basato su quello che veniva chiamato “regime terapeutico”, con tutte le restrizioni e i divieti che comportava.
Non importava la collocazione geografica, la cultura o la storia dei vari paesi, ogni sanatorio socialista sul territorio dell’ex Unione sovietica doveva rispettare alcuni elementi ricorrenti obbligatori: un policlinico, dormitori, uffici amministrativi e spazi verdi per racchiudere la vacanza perfetta del lavoratore socialista. Questi giganti incantati erano il teatro della vacanza istituzionalizzata. Nella Russia imperiale, il termine sanatorio aveva tutt’altra valenza: era prerogativa delle classi più agiate, soprattutto quelli in Crimea che gli zar fecero costruire a picco sul mare. Erano centri d’ispirazione per l’élite artistica: Lev Tolstoj avrebbe voluto farsi seppellire nel giardino lussureggiante di una di queste strutture, il pittore Ivan Ajvazovskij, quando era a corto di ispirazione, andava in Crimea per dipingere i suoi famosi paesaggi marittimi. Questi complessi, stilisticamente romantici con divagazioni folkloristiche, con la rivoluzione bolscevica sono scomparsi, hanno chiuso. Al loro posto nasceva l’idea della vacanza proletaria, delle stazioni di cura in cui lo stato mandava i suoi lavoratori.
In una pièce teatrale, lo scrittore Maksim Gorkij, padre del realismo socialista, scrive: “Lasciati curare. Oggi si curano anche gli alcolizzati, ho sentito dire. Si curano gratuitamente, con amore fraterno. E’ stato fondato un sanatorio per bevitori. Capisci, si è riconosciuto che anche un ubriacone è un uomo e sono contenti quando uno ci va per farsi curare. Affrettati! Vacci”. Le parole vengono messe in bocca a Luka, nel dramma “L’albergo dei poveri”, che valse all’autore il titolo di “massimo scrittore proletario del mondo”. La casa di cura viene descritta come “magnifica, tutta marmi, luce, pulizia e vitto”, e l’ubriacone Comico dice: “Mi farò curare, comincerò una nuova esistenza. Sono sulla via della rinascita”. In tutta Europa i sanatori erano la destinazione di chi soffriva di tubercolosi. In Russia, invece, perdono la loro accezione specialistica e diventano delle stazioni in cui la longa manus dello stato socialista si prendeva cura del corpo dei suoi lavoratori. Nel “Maestro e Margherita”, Michail Bulgakov crea uno dei personaggi più stravaganti, il professor Stravinskij, il direttore del sanatorio in cui finiscono nell’ordine Ivan il poeta, il direttore del teatro di varietà Rimskij e l’attore Bengalskij. Lì prendono vita i ragionamenti, i ricordi struggenti e i voli filosofici del Maestro. “Noi tutti qui dentro siamo gente infida”, dice a Ivan.
A rendere celebri i sanatori in letteratura non è stato però un autore russo, bensì Thomas Mann che ha ambientato “La montagna incantata” nella clinica Berghof, all’interno della struttura ospedaliera di Davos: prigione dell’uomo rinchiuso in un perimetro e per questo costretto a guardarsi dentro. Per tutto l’occidente, complice anche Mann, i sanatori sono passati alla storia come il posto in cui si curava la tubercolosi, la malattia del secolo, che rifletteva una condizione esistenziale. Il mal sottile, di cui morirono Cechov, Keats, la Bronte, Chopin e Guido Gozzano, però, non ha nulla a che fare con i sanatori russi, che invece divennero presto il simbolo della cultura socialista per la creazione dell’homo sovieticus. Un luogo in cui rigenerarsi fisicamente e, di conseguenza, nello spirito. Nata come abitudine, la vacanza proletaria con Kruscev diventa un’istituzione di massa.
Negli anni Sessanta e Settanta l’industrializzazione e la standardizzazione in architettura hanno permesso di costruire sempre più velocemente le strutture e hanno stimolato l’intenso sviluppo del turismo di massa. Ogni professione aveva il suo sanatorio. Anche l’Unione degli scrittori li aveva in Crimea, a Jarmula sul Baltico o nella zona delle acque minerali del Caucaso e gli artisti vi trascorrevano l’estate: da Bulgakov a Lev Novogruskij, autore di favole, alcune ambientate proprio in queste strutture. Il consiglio dei sindacati di tutta l’Urss, il Vcsps, stabilì di uniformare il sistema sanatoriale, stabilendo che tutti i lavoratori avevano diritto ai trattamenti terapeutici e di benessere. Ogni azienda aveva il suo sanatorio fuori città, dove i dipendenti potevano andare in vacanza. Se il sanatorio della “Montagna incantata” era un posto claustrale che costringeva i protagonisti a guardarsi dentro, li spingeva a infierire sulle proprie ferite dell’anima, i sanatori sovietici dovevano essere esattamente il contrario, dovevano aggregare, erano destinati alla vita collettiva. All’uomo sovietico era vietato di scavarsi dentro per riconoscere la propria parte malata.
La versione italiana del “Dottor Zivago” fu contrattata da un sanatorio. Boris Pasternak scriveva a Feltrinelli: “Da più di tre mesi a questa parte ho problemi di salute. dapprima sono rimasto a casa, poi mi sono fatto ricoverare e ora mi trovo in un sanatorio nei pressi di Mosca”. Lo scrittore sapeva che la sua opera non sarebbe stata gradita in Russia, così dalla struttura di Uzkoe, fuori dalla capitale, consegnava all’editore italiano le sue speranze. “Se a settembre l’opera non dovesse vedere la luce nel suo paese, ne rimarrei profondamente amareggiato”, scriveva Pasternak. Progressivamente si fa strada una visione sempre meno ideologizzata della vacanza. In Urss, anche prima del crollo, le maglie del controllo si allentano e lasciano spazio ad altre forme di villeggiatura. I sanatori diventano posti in cui trascorrere il tempo libero, termine quasi paradossale nel sistema socialista. La parabola della cultura del turismo in Russia è rappresentata dalla città di Sochi. Affacciata sul mar Nero, era una località popolare già in epoca zarista, fino a diventare residenza estiva di Stalin. L’uomo di ferro ne ha rivoluzionato il profilo architettonico, trasformando Sochi nel regno dei sanatori. Dalla grandeur staliniana al goffo gigantismo di Leonid Breznev, fino alle ristrutturazioni di privati che hanno fatto della cittadina sul mar Nero la patria del turismo russo. Dalla riqualificazione del corpo all’edonismo turistico, a Sochi il termine turizm ha perso il suo significato sovietico ed è diventato semplicemente la versione russa di turismo.
Come mostra il libro “Holidays in Soviet Sanatoriums”, esistono ancora dei sanatori che sembrano essere rimasti incastonati nella storia. Immobili nelle loro strutture pesanti e irregolari. Molti non sono più nei confini russi, ma sparsi sul territorio dell’ex Urss e conservano le atmosfere di una volta, i marmi, i riti delle vecchie cure e godono dei finanziamenti dello stato. Proprio come un tempo, non sono frequentati da persone abbienti, ma da chi ha bisogno di rigenerarsi o forse non ha fatto in tempo ad abituarsi al nuovo mondo. In Kirghizistan, sul lago Issyk-Kul, c’è uno dei più famosi sanatori. Leggenda narra che l’astronauta Jurij Gagarin vide lo specchio d’acqua dallo spazio e disse che, appena tornato sulla terra, sarebbe andato a visitarlo e avrebbe trascorso le sue vacanze proprio lì. Nel sanatorio si praticano ancora le cure per le vie respiratorie con i raggi ultravioletti, un sistema sperimentato nel periodo sovietico e che ancora continua ad attirare moltie persone. Sempre in Kirghizistan ci sono ancora i sanatori divisi per categoria, per gli insegnanti, i medici, gli operai.
In Armenia, a Jermuk, una stazione termale chiamata la piccola Svizzera, il governo continua a pagare il soggiorno per gli impiegati statali. Ma, proprio come un tempo, i sanatori più frequentati sono quelli in Crimea. La costruzione che nel 1945 aveva ospitato a Yalta l’incontro tra Churchill, Roosevelt e Stalin venne trasformata in uno dei sanatori più ambiti dell’Unione sovietica e ancora oggi continua a essere molto frequentato. Hanno popolato le pagine dei libri, sono diventati il simbolo del riposo proletario, ma soprattutto i sanatori sono stati le palestre dell’ideologia sovietica e sono anche riusciti a sopravviverle. Alcuni hanno passato indenni la storia. Altri sono diventati un parco giochi a tema soviet. Quelli di Sochi, ormai irriconoscibile, hanno fatto della città la Rimini sul mar Nero. Ma la loro fierezza architettonica, brutta senza averne l’aria, è sempre lì, ad aspettare chiunque, russo, armeno, ucraino o chirgiso abbia ancora voglia di trascorrere le vacanze in un sanatorio sovietico.