"L'ideologia Chavez-Maduro è uno degli adattamenti del comunismo"
Roberto Mansilla Blanco - 5 maggio 2020
Renato Cristin è un filosofo e professore di Ermeneutica filosofica all’Università di Trieste, e insieme a Vladimir Bukovsky è il promotore della campagna internazionale Appeal for Nuremberg Trials for Communism, finalizzata a condurre a un giudizio i crimini storici del comunismo. In questa intervista esclusiva per il sito venezuelano Venezuela Viva. Qué Vaina!, risponde alle nostre domande sulla sua iniziativa, sul ruolo del comunismo negli eventi in corso, con uno sguardo molto critico sul regime abusivo di Nicolás Maduro e del chavismo in Venezuela.
1. Quando nasce l’iniziativa «Appello per una Norimberga del comunismo» che lei e il dissidente sovietico Vladimir Bukovskij avete promosso?
Questa iniziativa è partita nell’estate del 2019, ma ha un lungo retroscena, che racconto brevemente. Nel corso di un convegno del 2005 dedicato alla memoria dei totalitarismi, che organizzai quando dirigevo l’Istituto Italiano di Cultura di Berlino, Vladimir Bukovskij mi parlò della sua idea di istituire una «Norimberga del comunismo», che potesse portare a un giudizio storico e morale di condanna, analogo a quello che ha giustamente condannato e definitivamente bandito il nazismo dal mondo civile. Dopo qualche anno, alcuni studiosi e politici dei Paesi Baltici la ripresero in occasione di incontri di carattere storico, ma l’iniziativa non trovò adeguata concretizzazione; finché nell’estate del 2019 scrissi a Bukovskij proponendogli di lanciarla con un appello che potesse fungere da base per una iniziativa internazionale, in concomitanza con il trentesimo anniversario dell’abbattimento del Muro di Berlino. Benché debilitato dalla malattia, egli accettò con entusiasmo, perché vedeva la possibilità di dare finalmente respiro alla sua idea. Scrivemmo così il testo dell’appello e decidemmo di lanciarlo con una raccolta di firme per presentarlo al pubblico nella data simbolica del 9 novembre. Purtroppo il 27 ottobre Bukovskij morì, lasciando un grande vuoto in tutte le persone che, in tutto il mondo, avevano applaudito la sua pluridecennale battaglia contro il comunismo condividendone motivazioni e obiettivi, ma lasciandoci anche al tempo stesso l’impegno di realizzarne gli intenti, tra cui appunto questa nostra iniziativa.
2. Quali sono le principali richieste avanzate in questa iniziativa?
Si tratta di un’iniziativa necessaria sia per porre formalmente sotto accusa i massacri e i genocidi dei vari regimi e movimenti comunisti, sia per depurare la coscienza storica collettiva dalle tossine che l’ideologia comunista ha sparso ovunque, sia infine per riequilibrare la coscienza morale del mondo occidentale, di quel mondo libero che troppo spesso, per pigrizia o per malafede, nasconde la verità del comunismo, occultando la criminogena essenza di un’ideologia ancora attiva e letale.
In concreto, verrà sviluppata su tre livelli, strettamente intrecciati e interconnessi: una linea specificamente culturale (storiografica, filosofica, sociologica, politologica, geopolitica), una linea giuridica (allo scopo di verificare le possibilità concrete di procedere penalmente sia nei confronti di casi specifici sia, nei confronti del crimine di genocidio che ha caratterizzato molti di quei massacri), una linea politica e istituzionale, da elaborare sia con singoli Governi interessati a una condanna politica e morale del comunismo, sia con il Parlamento europeo per completare la mozione di equiparazione fra nazionalsocialismo e comunismo approvata nel mese di settembre 2019.
In queste settimane l’emergenza sanitaria globale causata dal coronavirus – un tema che ha molte implicazioni, non solo di carattere economico e sociale ma anche politico, sulle quali qui non mi soffermerò – ha prodotto una contingenza che ci costretto a riprogrammare le azioni concrete che avevamo iniziato a elaborare e che potremo riprendere una volta assestata la situazione, immagino dopo l’estate. Stiamo inoltre proseguendo nella raccolta di firme di adesione all’appello, che può essere letto e firmato alla pagina web: https://appeal.nurembergforcommunism.org/.
3. Qual è stata la ricezione internazionale di questa iniziativa? In particolar modo da parte dell’opinione pubblica, del mondo accademico, degli ambienti politici, ecc.
A oggi hanno sottoscritto l’appello oltre 1500 persone provenienti, come si può vedere dall’elenco alla pagina web, da molti Paesi, collegate a numerose istituzioni e attive in svariati ambiti professionali, accademici e istituzionali. Un articolo di Andrea Mancia risalente allo scorso mese di novembre presentava alcuni nomi fra i primi firmatari.
L’iniziativa ha potuto contare fin dall’inizio su una grande ricezione da parte di quelle persone e comunità, anche esiliate, che hanno vissuto il comunismo, dall’Europa dell’Est fino all’America Latina. Conta anche sul valore, enormemente apprezzabile, di molte firme che, appoggiandola, ancora oggi si espongono, e anche sull’approvazione corroborante e vigorosa da parte di intellettuali soprattutto liberali e conservatori, a difesa del mondo libero.
In Italia fu presentata al Senato con l’appoggio dei partiti del centrodestra, ma in realtà si tratta di un appello super partes, che mirando alla necessità di emarginare gli estremismi, traccia un itinerario di ragionevolezza che ha a che fare con una visione equilibrata e perfino umanitaria (perché alcuni dei crimini commessi in nome di quell’ideologia continuano ancor oggi a essere commessi e continuano a esserci nuove vittime). È un’iniziativa internazionale di carattere etico prima ancora che politico, storico e culturale.
L’appoggio dei primi firmatari, alcuni dei quali mi aiutano inoltre nella promozione del documento, è inestimabile. Fra di loro ci sono membri del Parlamento europeo e di alcuni Parlamenti nazionali, esponenti del mondo dell’imprenditoria, dei media, della scienza, della cultura e della religione, professori universitari, economisti, artisti e scrittori, personalità dello sport, professionisti dei più diversi settori, responsabili di think tanks e rappresentanti di molte istituzioni dedicate alla memoria dei crimini del comunismo sparse in tutto il mondo.
Sottolineo l’appoggio di persone che hanno subìto persecuzioni da parte di svariati regimi comunisti europei del Novecento (tra le quali desidero menzionare un grande amico di Bukovskij, lo scrittore e dissidente sovietico Arkady Polishchuk), e di persone che le stanno subendo anche attualmente sotto analoghi regimi: esiliati e dissidenti cubani, oppositori venezuelani, persone che hanno visto per esperienza diretta quali possono essere le conseguenze devastanti di tale ideologia, in ogni sua variante.
Vorrei nominarli tutti, uno per uno, poiché per ciascuno provo un sentimento che va al di là della gratitudine per il sostegno e che arriva all’amicizia.
Svariate sono inoltre le organizzazioni che esprimono il loro impegno a collaborare affinché l’iniziativa prosperi, e che stanno già di fatto iniziando a farlo concretamente, come per esempio la Platform of European Memory and Conscience (Praga), la Victims of Communism Memorial Foundation (USA), l’International Freedom Educational Foundation (USA), la Corneliu Coposu Foundation (Romania), l’Estonian Institute of Historical Memory (Estonia), il Club de los Viernes (Spagna), la Fondazione Lepanto (Italia), la Fondazione Farefuturo (Italia), per citare solo alcune tra molte altre. Contiamo sul prezioso appoggio dei presidenti di numerose organizzazioni, tra cui il David Horowitz Freedom Center (USA), la Union of Councils for Jews in the Former Soviet Union (USA), il Westminster Institute (USA), la Mannkal Economic Education Foundation (Australia), il Liberty Memorial to the Victims of Communism (Canada), il National Museum of the Holodomor-Genocide (Ucrania), il Directorio Democrático Cubano (Cuba-USA), la House of Terror (Ungheria), l’International Commission for the Evaluation of the Crimes of the Nazi and Soviet Occupation regimes in Lithuania, la Internationale Assoziation ehemaliger politischer Gefangener und Opfer des Kommunismus (Germania), il Grupo de Estudios Estratégicos (Spagna), il Movimiento por España, l’Institute for Democracy, Media and Culture (Albania), le riviste The New Criterion (USA), PanAm Post (Colombia-USA), New English Review (USA), Jihad Watch (USA), i quotidiani Libertad Digital (Spagna), L’Opinione delle libertà (Italia), e molti altri. Per un panorama esaustivo, che per ragioni di spazio non posso completare qui come vorrei, rinvio alla lista dei firmatari che si può leggere nel sito web dell’Appello.
Aggiungo soltanto, poiché questa intervista è ospitata da un sito venezuelano, che dall’America Latina in particolare, l’Appello ha avuto l’importante adesione della Fundación Libertad y Progreso (Argentina), che ha pubblicato nel suo portale un comunicato invitando a firmarlo, la Fundación Libertad (Argentina), la Fundación Bases (Argentina), il Centro de Estudios LIBRE (Argentina), lo Human Action Studies Institute (Peru) e la Fundación Libera Bolivia, fra le altre. E specificamente dal Venezuela, abbiamo finora circa una quarantina di adesioni, tra le quali risaltano quella di un ex-Presidente della Nazione, il Movimiento Libertario de Venezuela, il Movimiento Rumbo Libertad e lo stesso sito “Qué Vaina!”.
4. Potrebbe illustrarci la figura del dissidente sovietico Vladimir Bukovskij? Qual è il ruolo storico che egli ha avuto nell’iniziativa di promuovere un processo mondiale contro i crimini del comunismo?
Acerrimo avversario del regime sovietico e convinto sostenitore della necessità di istituire un processo mondiale ai crimini dell’ideologia comunista, Bukovskij è stato colui che, fra i dissidenti sovietici, è riuscito a dare la maggiore visibilità politica alla tesi che l’ideologia comunista non dovesse essere lasciata proliferare, né prima né dopo il crollo dell’URSS e dei suoi satelliti (mi permetto di rinviare al mio articolo in memoriam).
Se di quel massacro nascosto che è stato il Gulag sovietico Solženicyn è stato il maggiore e mai sufficientemente lodato narratore, dell’anticomunismo Bukovskij è stato il maggiore teorico, noto anche per le sue indagini sui retroscena del regime, delle quali il libro Judgement in Moskow, di cui è stata recentemente pubblicata l’edizione inglese, è un autentico capolavoro.
5. Da una prospettiva di valutazione storica, qual è il suo giudizio sul comunismo?
La storia intesa come il flusso degli eventi ha mostrato in piena luce i danni che tale ideologia ha prodotto sul piano economico e sociale. Da qui si può arrivare dunque alla condanna, che anch’io sostengo e propongo, del comunismo come storia di un fallimento non solo economico-sociale, ma anche politico, morale, spirituale, culturale, e come storia di un’aberrazione antropologica, confermata da ognuno dei tentativi di imporre un uomo nuovo: sovietico, maoista, castrista o di qualsiasi altro tipo. Ma poiché tale ideologia è ancora attiva e produce tutt’oggi i suoi effetti devastanti, sia nei confronti della libertà e della dignità delle persone, sia nei confronti del sistema sociale ed economico che salvaguarda quella libertà e quella dignità, la «Norimberga del comunismo» non vale solo per il passato ma deve servire anche per il presente, e per il futuro, per impedire che quella ideologia si propaghi ulteriormente e per evitare che continui a intossicare le future generazioni.
Insomma, questa iniziativa vale per condannare sia il comunismo realmente concretizzatosi, nei regimi passati e in quelli attuali nelle loro diverse varianti (tra cui Cina, Corea del Nord, Laos, Vietnam, Cambogia, Cuba, Venezuela, Nicaragua, Mozambico, Eritrea), sia l’ideologia totalitaria che li ha prodotti e che continua ad agire in tutte le aree del pianeta, perfino dentro al mondo occidentale, nella forma di partiti politici, di movimenti rivoluzionari, di gruppi eversivi, di organizzazioni terzomondiste, anti-occidentali o avverse al sistema socio-economico occidentale.
6. Crede che la valutazione storica che è stata data a questa ideologia sia adeguata?
Il giudizio storico inteso come giudizio della storiografia sul comunismo mostra valutazioni differenti a seconda della prospettiva teorica e politica da cui gli storici hanno considerato il comunismo nella sua forma sia ideologica sia statuale: da qui una disparità di opinioni, ma oggi nessuno può più negare, tranne alcuni teorici nostalgici o ideologicamente deformati, la realtà dei crimini perpetrati dai vari regimi nel corso degli anni. Perciò molti seguono la strada della distinzione fra intenzioni e risultati, sostenendo che il comunismo sia una idea buona, un’ipotesi di emancipazione dell’umanità, e che la sua mancata realizzazione è dovuta alle imperfezioni delle persone che l’hanno intrapresa, e che dunque anche esiti catastrofici, inclusi i massacri, sono dovuti non all’idea ma alle persone; mentre altri, con una più velenosa e più cinica distinzione, sostengono che per la realizzazione di un ideale così grandioso anche i massacri sono giustificati, legittimando così una criminale equazione tra finalità e mezzi, e riuscendo così a mantenere integro il nucleo ideologico del comunismo stesso per le generazioni future.
7. Come vede lei attualmente la sinistra a livello mondiale? Ritiene che abbia realizzato un’autocritica sincera su ciò che hanno rappresentato i crimini del comunismo nella storia?
La sinistra mondiale si trova oggi in una condizione paradossale. Per un verso è l’erede del naufragio storico del progetto social-comunista ed è quindi in evidente minorità rispetto alla validità del progetto che, per semplificare, definisco liberal-capitalistico, cioè di quella visione del mondo che si è affermata nella civiltà occidentale e che oggi coinvolge tutti i Paesi che vivono ispirandosi ad essa. Per un altro verso, soprattutto in questi Paesi, quella ideologia, variamente trasformata oppure opportunisticamente modificata a seconda delle necessità, sta ricrescendo come ciò che Bukovskij definiva «un cancro sul corpo della razza umana», si sta cioè adattando alle nuove circostanze geopolitiche e si sta riorganizzando spacciando per nuovo e per buono un progetto sociale che ha invece prodotto solo miseria e devastazione.
Immersa in questo paradosso, la sinistra ha trovato la via per uscire dal vicolo cieco in cui la storia l’aveva relegata, grazie ad alcuni fenomeni storici contingenti e ad alcuni alleati, vecchi e nuovi. I fenomeni contingenti sono i cambiamenti climatici spacciati come aspetti di una crisi ecologica planetaria; la pressione migratoria che dall’Africa e dall’Asia sta minacciando l’Europa e che la sinistra vede come una occasione di rivincita nei confronti del capitalismo e come possibilità di realizzare concretamente quel terzomondismo che ha sempre fatto parte del suo patrimonio ideologico; le ricorrenti crisi economiche interpretate come segnali del collasso del sistema capitalistico ovvero del sistema socio-economico occidentale. Tutti questi fenomeni sono sfruttati dalla sinistra mondiale per guadagnare spazio politico e per acquisire consensi nell’opinione pubblica.
Accanto a ciò, essa può contare su alleati potenti: amici storici come il mondo dei media, tradizionalmente imbevuto di ideologia social-comunista e anti-occidentale (salvo poi scucire denaro ai magnati del detestato capitalismo) e schierato sulle posizioni del terzomondismo e del progressismo radicale; alleati istituzionali come per esempio l’ONU e tutti i suoi organismi, dalla Fao all’Unesco, dall’Alto commissariato per i rifugiati all’Organizzazione mondiale della sanità; e un alleato nuovo e inaspettato, la Chiesa cattolica sotto la guida di papa Bergoglio o, per essere più precisi, quella parte della Chiesa che segue la teologia politica di Bergoglio ispirata alla teologia della liberazione, quel catto-comunismo che aveva già molti proseliti nel mondo e che oggi è diventato maggioritario fra gli ecclesiastici e, temo, anche fra i fedeli. Per l’autorità della sua carica e per l’oggettiva pochezza dei capi della sinistra oggi, l’attuale pontefice può ben essere considerato come il leader carismatico di cui la sinistra ha bisogno per alimentare l’immaginario dei suoi adepti.
Paradossalmente, c’è stata a sinistra più autocritica nel periodo precedente o negli anni immediatamente successivi alla caduta del Muro di Berlino, mentre oggi essa ha superato quella fase e abbandonato ogni atteggiamento autocritico, diventando sempre più spocchiosa e aggressiva. Un’autocritica seria, che tragga cioè con coerenza le conseguenze da tale analisi, costringerebbe ogni persona razionale ad abbandonare quelle posizioni, e quindi non gli resta altro che cercare scorciatoie teoriche e pratiche, sofismi che, come dicevo poco fa, permettano di preservare all’idea comunista quell’aura di misticismo necessaria affinché qualcuno possa ancora credere in essa.
8. Ritiene che ci troviamo dinanzi all’avvento di opzioni più radicali e populiste da parte della sinistra?
Nel mondo occidentale, la sinistra è costretta oggi a procedere con due marce diverse: una di basso profilo ideologico, che possa qualificarla come idonea a governare e che non spaventi l’elettorato di sistemi liberaldemocratici che non tollererebbero sterzate radicali, e un’altra dal tasso ideologico più spinto, che possa fare perno sulle contingenze (in particolare crisi economica e cambiamento climatico) per infuocare gli animi dei più giovani, per spingere in direzione dell’immigrazionismo afro-asiatico in Europa, per isolare lo Stato di Israele e favorire i suoi avversari, palestinesi o iraniani che siano, per fomentare le rivolte sovversive in America latina, come abbiamo visto nei mesi scorsi, o per promuovere in Europa movimenti eversivi che possano intercettare il malessere sociale e alimentare le proteste.
9. Come valuta ideologicamente il chavismo? Lo considera un erede delle tesi comuniste?
Chávez è stato a mio avviso il principale esponente di un populismo latinoamericano che, unendo il marxismo-leninismo e il nazionalismo, ha avuto un grande seguito in tutto il continente (l’Alleanza Bolivariana è stata un risultato nefasto ma oggettivamente cospicuo), non perché avesse una grande capacità teorica, ma perché aveva conquistato il potere in uno dei principali Paesi produttori di petrolio. È sulle riserve petrolifere del Venezuela e non sull’intelligenza politica di Chávez che si è potuto formare e consolidare quel movimento che si definisce chavismo e che continua tutt’oggi a detenere il potere in Venezuela. Il filo del petrolio lega infatti Paesi che in apparenza hanno poche affinità: Russia, Iran e appunto Venezuela, con Cuba più come reperto ideologico che come attore a pari livello, data la sua insignificanza economica.
Ricordo bene come nel 2007 Ahmadinejad e Chávez sancirono l’alleanza di ferro tra i loro Paesi; ricordo bene i loro scambi di visite, l’arrivo trionfale dell’iraniano a Caracas, per passare poi da Cuba a rendere onore al morente ajatollah Castro, e rinsaldando un vincolo che vedeva profilarsi una santa alleanza mondiale fra il nazismo islamico e il comunismo, nel comune obiettivo di distruggere la potenza statunitense e l’Occidente in generale. Con quella alleanza, a cui più tardi aderì anche la Russia, si delinearono progetti deliranti, come il socialismo del XXI secolo: follia allo stato puro, inediti scenari strategici, ma soprattutto nuove energie ideologiche e, cosa più inquietante di tutte, militari. La guerra all’Occidente aveva trovato già dal 2007 un asse di forte penetrazione geopolitica.
Solo per restare in Sudamerica, è a tutti noto il triangolo al confine fra Argentina, Paraguay e Brasile, ormai diventato di fatto zona extraterritoriale, un’enclave sottratta alla legalità dalla mafia del commercio di droga e utilizzata come avamposto per la jihad in Occidente, come spazio logistico per il rafforzamento economico-militare di gruppi terroristici di cui tutti conoscono la presenza ma che nessuno vuole debellare, che Chávez aveva incoraggiato e, dopo il patto con l’Iran, foraggiato. Per pagare i militanti di Hezbollah e di Hamas in medioriente e altre cellule terroristiche in varie parti del mondo, l’Iran non aveva bisogno del denaro chavista, e tuttavia Chávez, che con la sua empia retorica faceva rivoltare nella tomba Simón Bolívar, non volle essere da meno sul piano del sostegno all’allora vagheggiata rivoluzione comunista-islamista mondiale.
L’ideologia chavista-madurista, che continua a consistere di pochissime idee e di molti sostegni internazionali, è uno degli adattamenti del comunismo alla realtà socio-culturale venezuelana, una odiosa forma di prevaricazione ideologica sfociata in dittatura.
10. Come vede la situazione del Venezuela?
Maduro è un presidente abusivo, che non solo ha usurpato la carica ma che, con l’instaurazione di un apparato di nomenclatura corrotto, con un uso massiccio della demagogia e con l’appoggio fino a oggi forse totale da parte dei vertici dell’esercito, ha affamato il popolo (tutto il popolo: anche coloro che scendono in piazza per sostenerlo sono infatti colpiti dalla carestia provocata dalla politica economica chavista). Un despota che si è arroccato nel fortilizio del potere senza alcun rispetto per la democrazia e perfino senza alcuna pietas per i suoi connazionali che stanno, quasi letteralmente, morendo di fame e, cosa forse non meno grave, soffrendo l’ingiuria della privazione della libertà.
Solo ideologi marxisti, politici cinici o esponenti ecclesiastici bergogliani possono continuare a sostenere quel regime o a dirsi equidistanti fra Maduro e l’opposizione. Al di fuori di queste tipologie, ci dovrebbe essere un appoggio incondizionato alla spinta democratica e di libertà messa in campo dall’opposizione. Il Parlamento Europeo ha riconosciuto già dal marzo 2019 la legittimità del presidente dell’Assemblea nazionale, Juan Guaidó, come hanno fatto più di sessanta Paesi, con gli Stati Uniti in testa (l’Italia purtroppo non fa parte di questo gruppo, a causa della posizione filo-madurista del Movimento 5 Stelle; e nemmeno il Vaticano, che insiste sulla tesi capziosa e cripto-socialista dell’equivalenza tra due fazioni che, invece, non sono comparabili). Ma la pressione politica appare ormai insufficiente per rovesciare il direttorio di Maduro. L’asse con la Russia, l’Iran e oggi anche con la Cina sta puntellando un regime marcio ma ancora in grado di soffocare l’opposizione. C’è perciò bisogno di una forzatura che, soprattutto dall’esterno, riesca a piegare questa dittatura sempre più spietata.
Una messa sotto accusa internazionale potrebbe essere una via intermedia fra la pressione politica (spesso troppo lenta e poco efficace) e l’intervento militare (non auspicabile perché causerebbe vittime fra la popolazione, già stremata dalla povertà madurista): in questo senso, bisognerebbe dare ampio impulso internazionale al mandato di cattura emesso dagli Stati Uniti e ispirato dal presidente Trump, ma a tale scopo c’è bisogno di una precisa volontà e di governi che vogliano affermare il principio di libertà senza ipoteche ideologiche.
C’è dunque da sperare che la volontà trovi un veicolo che ne realizzi le intenzioni, e perciò bisogna che tutti coloro che hanno questa volontà agiscano nei loro rispettivi ambiti per spingere i governi occidentali a una decisione che diventa di giorno in giorno più urgente. Non c’è da essere ottimisti, perché conosciamo l’orientamento ideologico e la viltà di molti partiti oggi al governo in Occidente (Unione Europea inclusa), ma si può confidare nell’energia delle idee e nella forza della libertà, che possono animare l’opinione pubblica occidentale a esercitare quella pressione a cui i governi non possono sottrarsi se vogliono essere (e non soltanto dirsi) liberal-democratici.
© Venezuela Viva. Qué Vaina!, 5 maggio 2020, e https://www.theifef.org/home/interview-with-renato-cristin-on-nuremberg-for-communism.