Chi è stato il fondatore del movimento omosessuale italiano? Il suo nome è Mario Mieli, scrittore e autore nel 1977 del celebre “Elementi di critica omosessuale” che divenne un fondamento dei cosiddetti “lavaggi del cervello”, ovvero delle teorie di genere in Italia: approccio psicologico e antropologico dell’omosessualità (con quali competenze?), giudicato “pietra miliare per un’intera generazione di militanti gay”. [Si veda anche: Evoluzione del comunismo: la distruzione della famiglia tradizionale]
Mieli in gioventù usava vestire quasi sempre con abiti femminili, andava truccato a scuola, saliva sugli autobus nudo sotto una pelliccia, indossava i gioielli di famiglia, non a caso il professor Zapparoli, lo psichiatra che lo aveva in cura, aveva diagnosticato una sindrome maniaco-depressiva con connotazioni schizoidi. Frequentò esponenti del movimento gay inglese e fondò nel 1971 la prima associazione del movimento di liberazione omosessuale italiano, chiamata “FUORI!” (Fronte unitario omosessuale rivoluzionario italiano). Se staccò da essa nel 1974 perché l’associazione si fece inglobare dai soliti approfittatori del Partito Radicale, lui invece non era convinto che si dovesse passare dalla politica per cambiare il mondo (e su questo aveva ragione). La caratteristica per cui è spesso ricordato è stata la coprofagia, ovvero l’hobby sessuale di mangiare i propri escrementi. E’ famosa la sua esibizione pubblica all’Ompo’s, durante la quale si esercitò in questi atti (anche con gli escrementi del suo cane). Il poeta gay Dario Bellezza (morto di AIDS) ironizzò così: «A Mario è rimasto altro che mangiar la m…, per far parlare di sé». Morì suicida nella sua abitazione di Milano, nel 1983 a soli 30 anni, dopo l’ennesimo periodo di depressione. A lui è intitolato il Circolo di cultura omosessuale Mario Mieli, sorto a Roma nello stesso anno della morte da suoi estimatori, che lo ricorda così: «si esibì più volte gustando m… e bevendo il proprio p… pubblicamente come a fornire un supporto umano e pesante ai prodotti più nascosti e più inumani dell’uomo; come a farsi forte di quella m… con cui una società bigotta, borghese e clericale aveva tentato di coprirlo». Mieli era notoriamente anche necrofilo.
Il quotidiano ufficiale del Partito Comunista Italiano, “Liberazione”, lo ha celebrato più volte. L’11 marzo 2008 ha riassunto così la sua biografia: «Vestiti da donna, teatro d’avanguardia, teoria, militanza, droga, coprofagia. Venticinque anni fa, il 12 marzo 1983, usciva volontariamente di scena, suicida a 31 anni, il più grande intellettuale queer italiano». L’articolo è scritto da un suo ammiratore, che ha onorato le gesta di una «dimensione esemplare e quasi mitica, sfaccettature di una coraggiosa e coerente complessità». Il suicidio di Mieli viene definito un «capolavoro di estremo narcisismo o esempio di masochismo che può sublimare, se usato politicamente, l’istinto di morte della Norma eterosessuale». La Norma eterosessuale significava per Mieli -probabilmente segnato dall’esperienza dell’ospedale psichiatrico e dall’effetto di droghe di cui abusava-, la rimozione dell’omosessualità e della femminilità da ogni uomo, perché «la dimensione di una transessualità originaria e profonda, costituisce la cifra essenziale dell’Eros di ciascun individuo». Lui ha introdotto il concetto per cui la «la Norma eterosessuale castra il desiderio attraverso l’educazione, producendo una società di adulti “monosessuali”, repressi, intrinsecamente omofobi e per questo votati alla guerra». In poche parole, per l’icona gay italiana, «ogni uomo si trova a dover fare i conti con il frocio e con la donna repressi dentro di lui, che Mieli invita ad accettare, accogliere e liberare». “Fissarsi” su «un singolo oggetto sessuale» (cioè, per oggetto si intende solo l’uomo o solo la donna) è -secondo Mieli- «un limite, un sintomo di repressione, di rimozione della naturale disposizione transessuale». Bisognerebbe aprirsi sessualmente ad ogni “oggetto”, dagli uomini agli animali e, perché no, fino ai propri escrementi. Solo così non si sarebbe repressi e omofobi. «Una posizione, questa, che scandalizza ancora oggi», si lamenta il suo ammiratore su “Liberazione”.
Le perversioni più assurde, servono proprio per «restituire agli individui la condizione originaria di transessualità, ovvero la libera e gioiosa espressione della pluralità delle tendenze dell’Eros». Esse, secondo lo slogan da lui coniato, “Mens sana in corpore perverso” (sbagliando pure il latino), «sono tappe inevitabili, lungo il cammino dell’Eros e dell’emancipazione per la rottura di ogni tabù». L’ammiratore di Mieli scrive con stile mistico-religioso: «Elogio della m… come grimaldello che apre le porte dell’armonia, come supremo vessillo della liberazione, come fonte di ricchezza accessibile a chiunque, come comunione sublime per un’iniziazione scandalosa, per una conoscenza schizofrenica e divergente. Il Mieli “alchemico” dell’ultima parte della sua vita narra un’esperienza magico-erotica che lo vede protagonista insieme al suo fidanzato: la celebrazione di un rito di “nozze alchemiche”, con la preparazione e l’assunzione di un pane “fatto in casa”, un dolce nel cui impasto confluivano non solo m…, sangue e sperma, ma anche ogni altra secrezione corporale, dalle lacrime al cerume. Perché? “L’abbiamo mangiato – dice Mieli – e da allora siamo uniti per la pelle. Pochi giorni dopo le “nozze”, in una magica visione abbiamo scoperto l’Unità della vita. Era come se non fossimo due esseri disgiunti, ma Uno; avevamo raggiunto uno stato che definirei di comunione”». Forse è per questo che non pochi psicologi hanno cominciato a parlare di “terapie riparative”? Anche in Mieli ritorna il pensiero della pedofilia, come nel movimento omosessuale americano Nambla. Si legge nell’articolo di “Liberazione”: «Il bambino è, secondo Mieli, l’espressione più pura della transessualità profonda cui ciascun individuo è votato. È l’essere sessuale più libero, fino a quando il suo desiderio non viene irregimentato dalla Norma eterosessuale, che inibisce le potenzialità infinite dell’Eros». Secondo l’articolista del quotidiano comunista, questo è un «discorso eversivo e scomodo oggi più che mai, in una società attanagliata dal tabù che investe senza appello il binomio sessualità-infanzia, ossessione quasi patologica che trasforma il timore della pedofilia in una vera e propria caccia alle streghe». Anche i bambini dovrebbero fare sesso, secondo Mieli, perché l’Eros, «se lasciato libero di esprimersi, può fondare una società diversa da quella in cui viviamo. Sicuramente più libera».
L’adozione gay, invece, potrebbe «inculcare nel bambino i valori di una sessualità più vicina al potenziale transessuale originario?», ci si domanda su “Liberazione”. I valori cristiani e quelli familiari naturali, secondo Mieli sono «pregiudizi di certa canaglia reazionaria» che, trasmessi con l’educazione, hanno la colpa di «trasformare il bambino in adulto eterosessuale». I pedofili invece possono “liberare” i bambini: «noi checche rivoluzionarie», ha scritto l’icona gay italiana, «sappiamo vedere nel bambino l’essere umano potenzialmente libero. Noi, si, possiamo amare i bambini. Possiamo desiderarli eroticamente rispondendo alla loro voglia di Eros, possiamo cogliere a viso e a braccia aperte la sensualità inebriante che profondono, possiamo fare l’amore con loro. Per questo la pederastia è tanto duramente condannata: essa rivolge messaggi amorosi al bambino che la società invece, tramite la famiglia, traumatizza, educastra, nega» (da “Elementi di critica omosessuale”, 1977).
http://www.uccronline.it/2012/07/03/mario-mieli-licona-gay-italiana-tra-coprofagia-e-sessualita-con-bambini/